Stretta della Cassazione sull’invio di newsletter pubblicitarie via internet.
In particolare, la Suprema corte, sentenza n. 17278 del 2 luglio 2018, ha affrontato la pratica sempre più diffusa da parte di alcuni siti web , di condizionare l’invio di notizie, di solito gratuite, alla prestazione di un generico consenso a ricevere “informazioni promozionali”.
Ebbene per i giudici di legittimità, che hanno accolto il ricorso del Garante della privacy, un simile modo di procedere viola la libertà del consumatore che non è in grado di sapere con chiarezza e in anticipo a cosa sta acconsentendo.
Il caso parte nel 2014 quando il Garante sanziona una società specializzata nell’advertising su internet per aver operato un trattamento di dati personali per finalità promozionali senza aver raccolto il consenso libero e specifico degli interessati.
Proposta opposizione da parte della società, il Tribunale di Arezzo l’aveva accolta sostenendo che il consenso era stato prestato e che la legge non prevedeva gli ulteriori obblighi dedotti dall’Authority.
Il sistema funzionava così: la società, tramite il proprio portale, offriva un servizio di newsletter su finanza, fisco, diritto e lavoro; per accedervi l’utente doveva fornire, oltre alla propria e-mail, un consenso al trattamento dei dati personali.
Per conoscerne l’uso in dettaglio doveva però cliccare su di un link e “atterrare” su di una diversa pagina web in cui si specificava che i dati venivano utilizzati anche per l’invio di comunicazioni promozionali nonché informazioni commerciali da parte di terzi.
In mancanza di adesione il servizio non veniva erogato.
Con la decisione di oggi la Cassazione boccia questa pratica e detta nuove regole per l’advertising sul web.
Per i giudici di legittimità, infatti, con riguardo ai dati personali, si deve fare riferimento a una nozione di consenso informato (mutuata dall’ambito sanitario) che non ammette compressioni di alcun genere e non sopporta di essere perturbato non solo da errore, violenza o dolo ma neppure da stratagemmi, sotterfugi, slealtà, doppiezze o malizie comunque adottate dal titolare del trattamento.
E’ quindi vietato utilizzare i dati personali in possesso, per somministrare o far somministrare informazioni pubblicitarie a colui che non abbia la volontà di riceverli.
L’utente, infatti, deve sempre essere con certezza posto in condizione di raffigurarsi, in maniera inequivocabile, gli effetti del consenso prestato al trattamento dei suoi dati.
Se esso, dunque, come nel caso specifico, «comporta una pluralità di effetti , lo stesso va singolarmente prestato in riferimento a ciascuno di essi».
Non può perciò dirsi «specificamente» e «liberamente» prestato il consenso i cui effetti «non siano indicati con completezza accanto ad una specifica “spunta”», ma siano invece descritti in altra pagina web linkata alla prima, «senza che vi sia certezza che l’interessato l’abbia consultata».
In definitiva, per essere “specifico”, il consenso deve essere riferito «ad un trattamento chiaramente individuato, il che comporta la necessità, almeno, dell’indicazione dei settori merceologici o dei servizi cui i messaggi pubblicitari saranno riferiti».
Affermando un principio di diritto, la Cassazione chiarisce che«la previsione dell’articolo 23 del Codice della privacy, nello stabilire che il consenso è validamente prestato solo se espresso liberamente e specificamente in riferimento ad un trattamento chiaramente individuato, consente al gestore di un sito internet, il quale somministri un servizio fungibile, cui l’utente possa rinunciare senza gravoso sacrificio (nella specie servizio di newsletter su tematiche legate alla finanza, a fisco, al diritto e al lavoro), di condizionare la fornitura del servizio al trattamento dei dati per finalità pubblicitarie, sempre che il consenso sia singolarmente ed inequivocabilmente prestato in riferimento a tale effetto, il che comporta altresì la necessità, almeno, dell’indicazione dei settori merceologici o dei servizi cui i messaggi pubblicitari saranno riferiti.