Capita più spesso di quanto si possa pensare in relazione alla gestione di procedimenti di sportello unico per le imprese, che la documentazione inviata dall’utente o dall’intermediario via Pec assieme alla Scia non risulti leggibile dagli uffici, per varie motivazioni.
Il dubbio che sorge in questi casi è se comunicare l’anomalia all’utente chiedendo sostanzialmente una conformazione documentale ma considerare valido l’invio, oppure se intervenire immediatamente con una dichiarazione di irricevibilità e conseguente ordinanza di cessazione dell’attività segnalata.
Questa problematica è stata a suo tempo affrontata dal Tar Friuli Venezia Giulia nella discussione di un ricorso presentato e ha dato origine alla pronuncia n. 610/2014con la quale i giudici amministrativi hanno sancito interessanti principi amministrativi di gestione dei procedimenti di controllo iniziati a seguito di Scia.
Un utente aveva presentato a mezzo Pec una segnalazione certificata di inizio attività – Scia per la modifica di un proprio impianto fisso per la telefonia mobile nel territorio di un comune friulano.
Ma successivamente il ricorrente aveva ricevuto il divieto dell’ufficio comunale di prosecuzione dell’attività oggetto di Scia, sulla base di un duplice ordine di ragioni:
- perché uno dei file digitali contenenti la documentazione allegata alla segnalazione non risultava apribile e dunque visionabile;
- perché l’intervento si poneva in contrasto con il piano comunale antenne, che esclude in quella zona un nuovo impianto.
Ciò che ci interessa approfondire è senza dubbio la prima censura e le motivazioni giuridiche che hanno condotto il Tar a emettere una pronuncia favorevole per il segnalante che ha ricorso contro il provvedimento comunale di inibizione dell’attività.
Tralasciando dunque la seconda, appare interessante in ordine alla prima ragione che la censura dedotta dal ricorrente è stata la violazione degli articoli 3, 4, 12, 45, 65 del Dlgs 82/2005 in quanto la parte ricorrente ha sostenuto che nel caso in cui, come avvenuto nella fattispecie in esame, siano rispettati i parametri tecnici nell’invio telematico della documentazione, opererebbe una presunzione di corretta consegna che esonera il mittente da ulteriori verifiche presso il destinatario.
Sempre con riferimento alla prima delle ragioni poste a fondamento del divieto comunale di prosecuzione dell’attività oggetto di Scia, il ricorrente ha lamentato in giudizio che il Comune avrebbe dovuto chiedere la produzione, anche cartacea, del documento mancante, anziché vietare l’esecuzione dell’intervento di riconfigurazione tecnologica segnalato. I giudici amministrativi, nell’esaminare il fatto in merito alla prima censura, ci forniscono una chiave di lettura della cosiddetta irricevibilità della Scia in quanto hanno affermato quanto segue.
La Pec, quale tecnologia telematica, è strumento con il quale i privati possono relazionarsi con la pubblica amministrazione (articolo 3 del Dlgs 82/2005) e in base all’articolo 48 del Cad, la trasmissione a mezzo Pec equivale a notificazione a mezzo posta. Qualora rispondenti ai requisiti formali normativamente fissati, le istanze e dichiarazioni inviate alla pubblica amministrazione in via telematica equivalgono a quelle presentate su supporto cartaceo con sottoscrizione autografa, secondo quanto previsto dall’articolo 65 del citato decreto legislativo.
Ne consegue che, a fronte di una Scia presentata in via telematica, l’Amministrazione procedente è tenuta al rispetto delle regole che ordinariamente informano i rapporti con i privati, e, prima di tutte, del principio di leale collaborazione.
Il Tar afferma che «nel momento in cui il sistema genera la ricevuta di accettazione della Pec e di consegna della stessa nella casella del destinatario si determina una presunzione di conoscenza della comunicazione da parte del destinatario analoga a quella prevista, in tema di dichiarazioni negoziali, dall’articolo 1335 cod. civ. Spetta al destinatario, in un’ottica collaborativa, rendere edotto il mittente incolpevole delle difficoltà di cognizione del contenuto della comunicazione legate all’utilizzo dello strumento telematico, pure ammesso dalla legge».
Nel caso di specie il Comune dunque, secondo i giudici, avrebbe dovuto non appena riscontrata la mancata apertura dei files, attribuire al segnalante un termine per ovviare al problema, con l’avvertimento che il mancato tempestivo adempimento dell’incombente avrebbe determinato l’esercizio dei poteri inibitori nel termine di cui all’articolo 87- bis del Dlgs 259/2003.
Secondo i giudici non si trattava di chiedere un’integrazione documentale, perché nel caso di specie il documento era stato inviato, bensì di sollecitare una riproduzione dello stesso in un formato visionabile dall’Amministrazione.
Una adeguata riflessione su questa considerazione dei giudici ci dovrebbe aiutare a comprendere come la valenza della documentazione cartacea non debba essere completamente esclusa solo perché la norma del Suap prevede l’utilizzo della telematica come modalità di rapporto con la pubblica amministrazione.