L’imposta di soggiorno va modulata in base alla tipologia della struttura ricettiva e non è comunque applicabile per chi usufruisce di camere a ore.
Lo ha chiarito il Consiglio di Stato con la sentenza n. 1614/2019, confermando l’annullamento del regolamento approvato nel 2017 da un Comune della provincia di Varese.
I giudici di Palazzo Spada hanno affrontato in primo luogo la questione riguardante l’individuazione degli enti locali che possono introdurre il tributo.
Il Dlgs 23/2011 ha infatti subordinato l’istituzione dell’imposta di soggiorno, per i Comuni non capoluogo o facenti parte delle unioni di Comuni, all’inserimento in un elenco di località turistiche o città d’arte che le Regioni sono chiamate a predisporre.
Tuttavia ci sono ancora Regioni dove non esiste alcun elenco ufficiale di Comuni a economia prevalentemente turistica o città d’arte, tra cui la Sicilia, il Molise e il Lazio.
La Lombardia ha adottato solo nel 2018 una delibera, motivo per cui il Comune non poteva istituire l’imposta di soggiorno prima della decisione della Regione, né avrebbe potuto fare riferimento a una delibera regionale del 2008 riguardante gli ambiti a vocazione e potenzialità turistica, essendo invece richiesta una valutazione selettiva sulle località e città che per la loro già riconosciuta attitudine turistica possono legittimamente istituire l’imposta di soggiorno.
Il Consiglio di Stato esamina poi un secondo elemento di criticità, costituito dall’importo che le strutture ricettive devono richiedere ai loro clienti, solitamente commisurato alla classificazione della struttura.
Nel caso in questione il regolamento comunale aveva stabilito una tariffa unica per tutti gli alberghi, senza tenere conto della distinzione di stelle di ciascuna struttura né della stagionalità (bassa, media e alta stagione).
In concreto il Comune aveva fissato l’imposta in un euro al giorno per le strutture alberghiere e in 50 centesimi per i bed breakfast e gli affittacamere. Decisione ritenuta illegittima in quanto in violazione dei «criteri di gradualità» previsti dall’articolo 4 del Dlgs 23/2011 che individua nel prezzo pagato l’indice di capacità contributiva e impone la progressione del tributo in corrispondenza al suo aumentare.
Un ulteriore profilo esaminato dal Consiglio di Stato riguarda la possibilità per i Comuni di applicare l’imposta di soggiorno anche per chi usufruisce di camere day-use ossia solo per alcune ore della giornata. Scelta che si rivela in contrasto con l’articolo 4 del Dlgs 23/2011, essendo chiaro il riferimento alla durata dell’ospitalità «per notte di soggiorno».
Non può dubitarsi, allora, che il legislatore abbia inteso definire la durata dell’alloggio in almeno una notte. È quindi illegittimo il regolamento comunale che prevede il pagamento dell’imposta di soggiorno anche in caso di alloggio per alcune ore del giorno (senza passarvi la notte), in quanto in contrasto con la norma primaria, poiché la situazione di chi alloggia per poche ore in albergo non può essere equiparata a quella di chi vi trascorre la notte quanto a capacità contributiva.