Anche i professionisti dovranno fare i conti con le fatture al netto dell’Iva quando presteranno attività di collaborazione con la Pubblica amministrazione e con le società pubbliche e con le quotate.
Questa, è l’indicazione delle regole a cui hanno lavorato al ministero dell’Economia per la manovra correttiva da 3,4 miliardi. Manovra, va detto, approvata dal consiglio dei ministri martedì sera, ma con una formula «salvo intese» che lascia aperto il campo a ulteriori limature e correzioni tecniche: prassi non nuova per i decreti legge, che però aumenta ovviamente il tasso di incertezza delle regole in costruzione.
Lo split payment è la scissione contabile che dal 2015 ha imposto alla Pubblica amministrazione di pagare ai fornitori l’importo dovuto al netto dell’Iva, girata direttamente all’Erario per evitare il rischio evasione.
Finora una norma, scritta all’articolo 17-ter, comma 2 del decreto Iva (è il Dpr 673/1972, ma l’articolo 17-ter è stato introdotto dalla manovra per il 2015), escludeva dalla scissione contabile i «compensi per prestazioni di servizi assoggettati a ritenute alla fonte a titolo di imposta sul reddito»: in altre parole, le parcelle dei professionisti.
Anche questa categoria, però, verrà imbarcata in questo nuovo sistema, almeno se gli schemi esaminati in consiglio dei ministri saranno confermati nel testo definitivo del decreto attesa dal Parlamento. In pratica, il commercialista che si occupa della revisione dei conti in un ente pubblico oppure l’avvocato che fornisce consulenza legale, così come l’ingegnere che firma un progetto, saranno pagati al netto dell’Iva.
I professionisti, così come tutti gli altri fornitori di beni e servizi, vedranno tolta l’Iva dalle loro fatture non solo quando lavorano con gli enti pubblici, ma anche con tutti gli altri soggetti che saranno coinvolti in questo split payment 2.0. Il meccanismo, prima di tutto, sarà esteso a tutte le società controllate dalle pubbliche amministrazioni, centrali o locali, in via diretta o indiretta. Si tratta di un panorama che include svariate migliaia di soggetti, ma non abbraccia tutto l’universo delle società partecipate perché, salvo eccezioni, quando la maggioranza del capitale sociale è in mano ai privati in genere lo split payment non scatterebbe.
A definire il perimetro delle società controllate aiuta infatti il codice civile, che all’articolo 2359 che fissa come primo parametro per individuare una situazione di controllo quella in cui le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria. Attenzione, però, perché nelle regole elaborate dal dipartimento Finanze lo split payment nuovo modello si allarga oltre i confini del pubblico, per abbracciare le società quotate in Borsa: l’ultima ipotesi, a quanto si apprende, sarebbe limitata all’indice Ftse Mib, cioè quello che comprende le 40 società più grandi di Piazza Affari, ma con la possibilità che un decreto dell’Economia individui un indice alternativo.
Anche in questo caso, lo split payment previsto per la società madre si estenderebbe anche ai rapporti commerciali con le aziende controllate.